Il cammino verso la Verità nell’Induismo

I Veda

Alla base dell’ Induismo, i Veda, la sacra “Sapienza” degli antichi Arya, consistono in una serie di testi che vennero elaborati in un lungo arco di tempo, forse dal XV al V secolo a.C.

Essi sono “non umani”: esistenti dall’eternità, dei mitici veggenti, i rishi, li hanno “uditi” e trasmessi agli uomini. Costituiscono la Shruti, quello che l’induismo considera la Rivelazione, e la Smriti o “Tradizione”.

Il nucleo antico dei Veda si chiama “Samhita”. Il termine “Samhita” in sanscrito significa “Collezione”. Questo nucleo antico cioè è formato da una raccolta, dall’insieme di un migliaio di inni di carattere religioso, che non appartengono tutti allo stesso periodo storico. Ci sono inni veramente antichissimi ed altri più recenti. Tra gli inni più antichi l’insieme che si chiama “Mandala” o “Cerchio”. Ce ne sono alcuni composti ancor prima che gli Indiani vedici penetrassero in India.

Le Samhita  sono quattro. Le prime tre, considerate le più nobili, sono il Rigveda (Veda delle strofe), il Samaveda (Veda delle melodie), e lo Yajurveda (Veda delle formule). Il quarto è Atharva-Veda (Veda degli uomini).

L’Induismo quindi non si basa sulla rivelazione di un singolo profeta o fondatore. Dal vasto oceano della Conoscenza senza fine, gli antichi veggenti, i rishi, ricavarono un’essenza da trasmettere all’umanità per favorire il benessere e la felicità dell’uomo. Tale conoscenza eterna sono i Veda.

In essi si ritrovano i fondamenti della cultura, della spiritualità, delle arti e delle scienze induiste. I Veda sono stati preservati intatti nel corso di millenni grazie alla straordinaria capacità mnemonica dei sacerdoti, brahmani, incaricati di trasmetterli e di custodirne la conoscenza. Una Conoscenza che ogni essere umano può, potenzialmente, percepire in uno stato di profonda meditazione.

Differenza tra Buddismo e Induismo

E’ una sottile differenza. L’induismo mira alla comprensione di Brahman, l’Assoluto, dall’interno dell’Atman, che più o meno significa “sé” o “anima”. Ogni essere umano scopre in divino in sé, dalla sua interiorità più profonda. Il Buddismo mira a trovare l’Anatman – “non anima” o “non sé”.

Nell’induismo, raggiungere la meta più alta è un processo per rimuovere le illusioni e le distrazioni, che consente di comprendere infine la natura di Brahman vivendola nella propria interiorità. Nel Buddhismo, si segue una vita etica e si purifica la mente per raggiungere l’illuminazione e comprendere che nulla in sé è “me”, tale da dissipare l’illusione stessa dell’esistenza. In tal modo, si realizza il Nirvana.

La comprensione della Verità

Per l’induismo la méta più grande è la comprensione della verità, cioè di Brahman. Per arrivare a questo è necessario rimuovere le illusioni e le distrazioni corporee, consentendo al proprio Atman (Sé o Anima) di comprendere “per identificazione” e non mentalmente la natura di Brahman.

L’Isha Upanishad offre un insight sull’illuminazione. Un ricercatore spirituale realizza livelli di sintesi sempre più alti, fino a quando non si risolve una dualità definitiva: l’identità del Sé Intimo (Ātman) nel Sé Supremo (Brahman).

Le quattro vie verso la liberazione

Yoga è l’unione del sé individuale col Sé assoluto.Questa ricerca di unione può seguire più strade che portano all’emancipazione finale, moksa o mukti, a seconda delle facoltà e dei temperamenti di ciascun individuo.

Il sentiero verso la liberazione prevede quattro vie. Esse sono conoscenza, devozione, buone azioni e meditazione. Questi quattro percorsi non si escludono l’un l’altro. Si riconosce che ci sono personalità diverse, e quindi percorsi diversi. Si può perseguire una via e avere poco a che fare con le altre, oppure si può mantenere un percorso centrale  e integrarlo con gli altri.

  1. Jnana Yoga:la via della conoscenza e della consapevolezza;
  2. Bhakti Yoga: la via dell’amore e della devozione, il sentiero più semplice che può essere percorso da chiunque;
  3. Karma Yoga: la via dell’azione consapevole e disinteressata, dove tutte le azioni sono viste come un’offerta al divino;
  4. Raja Yoga: il cammino “reale” di meditazione, mantra e tecniche.

Conoscenza

La prima via verso la liberazione è la conoscenza. Non offre acquisizioni di tipo concettuale, ma consiste di successive prese di coscienza, di passaggi obbligati e concatenati.

La Conoscenza della Realtà, come abbiamo già detto, non è una conoscenza nel senso ordinario del termine, poiché la Realtà non può essere percepita come un qualsiasi oggetto. La Realtà può solo essere svelata nella consapevolezza attraverso la consapevolezza stessa.

Pertanto è necessario, per ogni passo, un certo tempo di assimilazione, di adattamento della coscienza, di adeguamento del proprio essere. Questa è dunque una Via di Consapevolezza, perché ad ogni passo corrisponde una stabile presa di consapevolezza.

Discriminazione e distacco

La Conoscenza poggia su due cardini fondamentali: la discriminazione (viveka) e il distacco (vairāgya). La discriminazione tra Reale e non-reale e il distacco dal non-reale portano allo svelamento del Reale.

Discriminazione e distacco non appartengono alla sfera mentale, per quanto in essa possano trovare supporto nelle fasi iniziali del cammino. La mente empirica (manas) è strettamente collegata all’individualità, all’io e alle sue connaturate limitatezze. E’ un semplice veicolo-strumento, intermediario tra il Sé e il corpo sensorio, che dovrebbe ubbidire al Principio Assoluto manifestandolo nel piano formale, ma che, in effetti, si conforma al corpo sensorio condizionando e oscurando la consapevolezza della Realtà.
Per sua natura la mente empirica svolge una funzione analitica, selettiva, comparativa operando con oggetti-forma, con immagini, quindi con proiezioni. Una proiezione, però, stagliandosi sullo Schermo, lo nasconde, lo seppellisce sempre più profondamente quanto più su di essa si compie un’opera di elaborazione concettuale o di astrazione speculativa.

La discriminazione di cui si avvale il Conoscitore, invece, procede direttamente dall’intuizione intellettuale superconsapevole (buddhi), la quale è per natura in grado di captare l’universale, di cogliere la sostanzialità delle cose: l’Idea in sé, libera dall’eventuale forma. Attraverso l’intuizione egli separa il Reale dal non-reale, il Vero dal falso, il Sostrato dalla sovrapposizione e si distacca dal contenuto, il “divenire” illusorio, recidendo ogni preesistente identificazione con esso e ritrovandosi in consapevole identità con l’Assoluto, ciò che non diviene ma “rimane”.

Devozione

La seconda via è la devozione religiosa. La più nota (ma non la sola) tradizione di devozione è il movimento ISKCON (gli Hare Krishna). Questa via cerca l’unione dell’amante con l’amato attraverso la celebrazione, la ripetizione del nome divino e la continua dedizione della mente del sé alla divinità.

Attraverso la preghiera, l’adorazione e il rituale, il devoto si arrende a Dio, trasmutando e canalizzando le sue emozioni in amore incondizionato o devozione.

La devozione è incarnata negli innumerevoli templi dell’India, poiché le figure che rappresentano la divina Lakshmi, Shiva, Devi e altre sono sfilate, vestite, “nutrite” e glorificate.

azione

Il terzo sentiero cerca l’unione di se stessi e del Brahman attraverso il lavoro disinteressato.

Non conta quello che si fa, ma l’attitudine in quello che si fa. Il lavoro è adorazione. Qualunque cosa si fa si deve dare il meglio di sé. Poichè noi siamo solo strumenti di Dio, è Lui che agisce attraverso noi. Noi non sappiamo i suoi piani o le sue intenzioni. Il modo per realizzare questa verità è lavorare costantemente non per ottenere vantaggi personali ma come offerta a Dio.

meditazione

La pratica principale della via del Raja Yoga è la meditazione. Include anche altre tecniche che aiutano  a controllare corpo, mente, energia e sensi.

Il Raja Yoga è anche chiamato Ashtanga yoga in riferimeno agli otto rami che conducono ad un assoluto controllo mentale.

Ashtanga- Gli otto rami del Raja Yoga

Spiegati dal Saggio Patanjali Maharishi negli Yoga Sutra, gli otto rami sono una serie progressiva di gradini o discipline che purificano la mente e il corpo, portando finalmente lo yogi all’illuminazione.

Non sappiamo esattamente (secondo alcuni, nemmeno approssimativamente) quando sia vissuto questo personaggio: molti esperti concordano nel ritenere che il 400 a.C. sia una data accettabile, ma la questione è molto dibattuta.

Si ritiene che Patañjali abbia compilato insegnamenti che fino ad allora erano stati tramandati oralmente, come spesso è avvenuto presso le scuole hindu. Egli fu il primo a metterli per iscritto, e per questo viene considerato il fondatore del Raja Yoga.

L’opera di Patañjali, Yoga Sutra, consiste in 196 sûtra (approssimativamente potremmo tradurre questa parola con «aforismi» o «versi»). Essi descrivono con magistrale chiarezza e incredibile capacità di sintesi la filosofia Yoga.

Le otto parti del Raja Yoga includono moralità, etica, postura, controllo del respiro, controllo dei sensi, concentrazione, meditazione e assorbimento.

Il Dharma

Nell’Induismo, l’ordine cosmico, il dharma,  implica l’insieme di leggi fisiche, biologiche ed etiche che mantengono la vita; un ordine cosmico che deve riflettersi anche nelle azioni dell’uomo. Ciò che distingue l’essere umano dagli animali è la capacità di discriminare ciò che è giusto compiere e ciò che non lo è, ossia la possibilità di applicare il dharma alla propria vita.

La concezione del Dharma è il fulcro dell’induismo. Il termine deriva dalla radice sanscrita “dhr”, che significa “sostenere”. Tutto ciò che mantiene e sostiene la manifestazione, cioè il mondo, tutti gli esseri e la società, è dharma. Nel corso dei secoli, la parola è stata impiegata per tradurre “religione”, “codice di condotta”, “legge”, “rituale religioso”. Dharma è la parola più comunemente usata con il significato di religione, cioè “funzione naturale ed eterna dell’essere individuale, che consiste nel seguire le leggi stabilite da Dio e servirlo con amore e devozione.”

Il dharma ha una doppia connotazione: etica e ontologica. Dharma è anche la qualità inerente a ogni cosa: del fuoco è il calore; del sole lo splendore; dell’oro il brillare, dello zucchero è il dolcificare e così nell’uomo è amare Dio.

Il Karma

Secondo la cosmogonia vedica l’universo fenomenico si regge sulla legge di causa-effetto, la quale agisce non solo sugli oggetti fisici ma anche sui fenomeni più impercettibili del mondo psichico. Secondo questa legge, definita legge del karma, ad ogni azione, positiva o negativa, segue una reazione dello stesso segno che l’autore attira su di sé di vita in vita. Dunque la legge del karma dirige l’essere spirituale, ontologicamente immortale, nella sua trasmigrazione di corpo in corpo, determinando le condizioni della rinascita, della forma mentis e della vita futura.

Il ciclo delle nascite e morti ripetute è chiamato samsara, letteralmente “passaggio, trasmigrazione” cioè “giro, ciclo delle rinascite”.

“Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. La persona saggia non è turbata da questo cambiamento” (Bhagavad-gita II, 13)

La morte non è un’interruzione o addirittura una cessazione della vita, ma semplicemente una delle innumerevoli tappe nel viaggio della vita, un viaggio infinito ed affascinante.

Moksha

Il fine ultimo dell’uomo è la suprema Beatitudine e unione con Dio, Moksha.

La Moksha è la liberazione dal Samsara, il ciclo delle rinascite. E’ l’obiettivo finale dell’esistenza di ciascun essere spirituale che, attraverso la Moksha, si libera dal corpo psicofisico e riacquista la dimensione eterea dello Spirito, dell’Atman. Le qualità ontologiche dell’atman sono infatti: immortalità (sat), conoscenza/consapevolezza (cit) e beatitudine (ananda). La liberazione quindi porta alla beatitudine.

 

https://www.orientespirituale.it/induismo/leggi-universali/il-karma.html

http://www.sivananda.org/teachings/fourpaths.html#raja