Il cammino verso l’illuminazione nel buddismo

Il Dalai Lama:la mancanza di “sè”, male moderno

Come sappiamo Tenzin Gyatso il  XIV Dalai Lama è la massima guida spirituale del buddismo tibetano, premio Nobel per la pace, leader politico e personalità internazionale. Ha scritto diversi libri sulla felicità e per aiutare il lettore nel suo cammino di crescita spirituale.

La violenza negli ultimi decenni sembra avere assunto forme meno cruente rispetto al secolo scorso ma altrettanto devastanti. Fra le principali cause delle tragedie a cui assistiamo giornalmente nel mondo, Sua Santità il Dalai Lama individua la mancanza di altruismo – o meglio, dell’«assenza di sé».Il buddismo invece insegna e pratica un cammino spirituale per condurre ogni individuo alla piena realizzazione delle proprie potenzialità e aiutarlo a conseguire l’illuminazione, il suo stato spirituale più elevato.

L’illuminazione nel Buddismo

L’illuminazione è conoscere la nostra vera natura, la vera natura del mondo e lo scopo e il significato della vita. Secondo il buddismo arrivare all’illuminazione è la più grande felicità raggiungibile da un essere umano. Quindi il cammino verso la felicità è lo stesso verso l’illuminazione.

Il vero obiettivo è l’illuminazione, che può essere raggiunto percorrendo le tracce sapientemente indicate dal Buddha: saggezza, concentrazione meditativa, condotta morale, soprattutto se esaltate dalla compassione. Quest’ultimo sentimento, sottolinea il Dalai Lama, va ben oltre l’empatia, poiché si estende all’impegno in prima persona ad alleviare le sofferenze del prossimo e di ogni essere senziente, senza limiti spaziali.

Abbiamo anche il dovere di intervenire sulle nostre afflizioni mentali, trasformando gran parte dei sentimenti negativi e autodistruttivi in atteggiamenti aperti e positivi, che sono fonte di serenità e benessere non solo per noi ma per tutti coloro che ci circondano.

«Le emozioni distruttive ci rendono infelici, tanto che, quando il loro effetto negativo diminuisce, la nostra mente è più a suo agio, più contenta. Dunque, la chiave per la felicità è una mente addomesticata»

Il cammino verso l’illuminazione

Il cammino verso l’illuminazione è lo stesso che conduce alla consapevolezza. Per avere consapevolezza spirituale dobbiamo conoscere quello che è al di là di questo mondo. “Conoscere” significa soprattutto venire in contatto con la “Verità” e poi incominciare il viaggio personale per farne esperienza.

Le quattro nobili verità

Le 4 Nobili Verità sono la base di ogni insegnamento buddista.

Tale insegnamento fu proclamato dal principe Siddharta, ovvero Shakyamuni, il Buddha storico vissuto nel 6° secolo a.C., nel Parco dei Daini a Sarnath presso Varanasi, in India.

Prima Nobile Verità: “La sofferenza”

La Prima Nobile Verità enunciata dal Buddismo si occupa di qualcosa che ogni essere vivente può facilmente verificare per esperienza: esiste la sofferenza. La parola Sofferenza non traduce veramente il concetto.

Nella lingua utilizzata dal canone buddista, ovvero la lingua Pali, di derivazione Sanscrita, la sofferenza è chiamata DUKKHA, che non significa semplicemente “dolore” quanto piuttosto situazione incongrua, insoddisfacente, incompleta.

Il termine DUKKHA deriva da due parole: DUH e KHA.

DUH è un prefisso negativo e KHA significa vuoto. Dunque DUKKHA sottintende qualcosa di inconsistente, insoddisfacente, impermanente,  illusorio.

Il termine italiano sofferenza è più restrittivo di DUKKHA, perché perfino gli stati considerati di piacere sono DUKKHA. Essi hanno sempre in sé qualcosa di non completamente appagante, di non completa realizzazione, di illusorio, di senso di perdita o altro.

DUKKHA è ovunque. La sofferenza, in qualche forma, è ovunque, sia nell’uomo che in tutti gli esseri viventi, e in un certo senso anche nelle cose, negli oggetti, nel mondo, nell’universo. Tutto si può rovinare, consumare, logorare. Tutto è soggetto a mancanza-eccesso, a perdita, a morte.

La Seconda Nobile Verità: “L’origine della sofferenza”

Se DUKKHA è, come tutte le cose, l’effetto di una causa, qual’è questa causa?

La seconda Nobile Verità ci avverte che la causa di tutte le esperienze di sofferenza è l’attaccamento. L’attaccamento al desiderio, e non il desiderio in sé stesso, è la causa primaria di ogni sofferenza.

Perché questo attaccamento ai desideri? L’attaccamento rappresenta la più comoda illusione di sconfiggere DUKKHA. Ciò è un paradosso, perché alimentando i desideri non solo non si elimina la sofferenza, ma si pongono le basi per rafforzarla.

Ma se l’origine di DUKKHA è l’attaccamento al desiderio, sarà rinunciando ad esso che potremo farla cessare, senza l’inutile illusione basata su generiche speranze.

La Terza Nobile Verità:”La cessazione della sofferenza”

La sofferenza può cessare. L’onnipresente DUKKHA si può sconfiggere, a patto di riuscire a rinunciare a TAHNA, ovvero al nostro istinto a rimanere attaccati ai nostri desideri.

La cessazione della sofferenza è un risveglio, una rinascita, una illuminazione…. finalmente comprendiamo, ma non solo con la mente, che tutto è impermanente.

La Quarta Nobile Verità:
“La via che porta alla cessazione della sofferenza”

Qual’è la Nobile Verità del Sentiero che conduce alla cessazione di DUKKHA?

E’ il Nobile Ottuplice Sentiero e cioè:

Retta Parola, Retta Azione, Retta Vita, Retta Comprensione, Retta Motivazione, Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, Retta Concentrazione .

Questi otto fattori costituiscono l’essenza dell’ideale di vita buddhista. Sono un programma attentamente considerato di purificazione del pensiero, della parola e delle azioni che ha come risultato finale la totale cessazione dell’attaccamento e il conseguente sorgere dell’Illuminazione, la Perfetta Saggezza.

Gli otto fattori non sono tappe da percorrere in sequenza, una dopo l’altra, bensì rappresentano una sinergia di elementi paragonabili ai fili attorcigliati che formano un’unica fune.

Retta Parola, Retta Azione

Retta Parola: sia la forma verbale che scritta della comunicazione possono avere enormi conseguenze. La parola può spezzare vite, creare nemici, ma anche infondere saggezza e fondare la pace.

Il Budda espone quattro tipi di retta parola: astensione da parola falsa, da parola che calunnia, da parola aspra e da parola oziosa.

Con Retta Azione si intende, in generale, un uso appropriato di noi stessi e del nostro corpo. Ovviamente l’aspetto principale della retta azione riguarda il non nuocere agli altri, ma anche non prendere ciò che non è dato.

retta vita

Con Retta Vita si intende  il guadagnare appropriatamente i mezzi di sussistenza. Tra i mezzi di sussistenza nocivi a sé e agli altri, il Budda ne elenca almeno cinque: commercio di armi, di esseri umani (ovviamente all’epoca del Budda esisteva lo schiavismo), di carne, di veleni e di sostanze comunque nocive alla salute.

In generale, qualsiasi mezzo di sussistenza che dovesse implicare danno o sofferenza negli altri va evitato.

Retta Comprensione

La Retta Comprensione ci accompagna per tutto il cammino dell’Ottuplice Sentiero. Le convinzioni condizionano le azioni, ma anche il modo di percepire. Comprendere rettamente è molto di più di un semplice sapere.

Il Buddha disse: “Che cos’è la Retta Comprensione? La comprensione della sofferenza, la comprensione dell’origine della sofferenza, la comprensione della cessazione della sofferenza, la comprensione della via che conduce alla cessazione della sofferenza”.

Comprendere significa dunque abbracciare le quattro Nobili Verità e fare di loro lo strumento del  risveglio interiore, che consentirà di vedere in modo completamente diverso tutte le cose, e cioè “semplicemente come esse sono”, senza il velo delle nostre illusorie percezioni.

Retta motivazione e retto pensiero

L’insegnamento buddista precisa che la motivazione è “retta” quando realizza spinte positive consistenti nel non-attaccamento, nell’amorevolezza e alla non violenza.

Analogamente, bramosia, inimicizia e violenza impediranno lo sviluppo del Retto Pensiero.

Educazione mentale

La purificazione della condotta attraverso i  precedenti fattori prepara alla seconda partizione del sentiero: quella della Concentrazione. L’educazione mentale vera e propria, costituita da: Retto Sforzo, Retta Consapevolezza, e Retta Concentrazione.

La funzione della concentazione è di unificare la mente. Per farlo, ha bisogno delle energie del retto sforzo ma anche della stabile consapevolezza fornita dall’attenzione.

Il termine “sforzo” non deve indurre a pensare che debba trattarsi di una fatica mentale, in realtà si tratta di lasciar fluire la nostra energia che richiede indubbiamente costanza e applicazione, tuttavia senza eccedere.

Il cammino buddista punta sull’educazione della mente, chiave di volta dell’intero Sentiero.

L’inizio del cammino dell’ottuplice Sentiero è una mente inquinata, contaminata e confusa; la realizzazione è la mente liberata, purificata e illuminata dalla saggezza.

Le tecniche di meditazione e la recitazione dei mantra sono la “palestra mentale” che facilita il raggiungimento di questi risultati e costituisce un ottimo metodo per realizzare correttamente il Retto Sforzo.

Retta Consapevolezza

La retta Consapevolezza non è il semplice “stato cosciente”, bensì è una coscienza  in cui la mente è mantenuta in uno stato di nuda attenzione, ovvero osservazione distaccata di quanto sta accadendo dentro di noi e attorno a noi “qui ed ora”.

Nella pratica della retta Consapevolezza, la mente viene educata a rimnanere nel momento presente, aperta, calma e sollecita, tutta intesa all’esperienza dell’evento attuale.

Giudizi e interpretazioni sono sospesi o, se si presentano, vengono registrati e subito abbandonati.

L’obiettivo è la pura osservazione di tutto ciò che si produce nel momento in cui si produce.

Ecco perché molti maestri, specialmente nello Zen, istruiscono i loro discepoli con affermazioni apparentemente enigmatiche del tipo: “quando mangi, mangia; quando cammini, cammina…”

La mente consapevole non oscilla tra passato e futuro ma resta ancorata nel presente. Tale forza mentale può essere efficacemente utilizzata sia in modo indirizzato sull’obiettivo che per produrre la visione profonda di saggezza.

La retta Consapevolezza viene anche coltivata mediante una pratica insegnata dal Buddha stesso, chiamata “le quattro basi della presenza mentale”, che consiste nella contemplazione consapevole delle quattro sfere della percezione: il corpo, le sensazioni, gli stati mentali e i fenomeni.

Retta Concentrazione

Lo stato di Samadhi (tradotto con Concentrazione) è il risultato di una costante Pratica meditativa.

Esso è caratterizzato da un atteggiamento mentale “unificante”, ovvero che indirizza le energie mentali in una chiara direzione, senza dispersioni o confusione.

Il Samadhi non è realizzabile in presenza di contenuti distruttivi, come ad esempio l’aggressività.

La mente concentrata ha due caratteristiche specifiche: l’incrollabile attenzione verso un oggetto e la conseguente calma delle funzioni mentali. Qualità che la differenziano nettamente dalla mente non concentrata, la quale produce fatica mentale nel caso dell’attenzione, che sarà poi inevitabilmente discontinua e inefficace.

La Concentrazione rende la mente salda e ferma, ne unifica i componenti, dona beatitudine, forza e serenità. Ma, da sola, non basta a raggiungere il fine più alto: la liberazione dalle catene di Dukkha per mezzo della saggezza, ovvero della mente finalmente illuminata.

mettere fine a Dukkha

Realizzare la propria salvezza è compito immediato di ogni uomo.

Per mettere fine a Dukkha occorre fare dell’Ottuplice Sentiero uno strumento di elevazione spirituale e utilizzarlo per sviluppare la visione profonda capace di svelare la verità ultima delle cose che, come detto precedentemente, può realizzarsi solo attraverso l’esperienza personale, secondo modalità particolari che sono specifiche di ognuno.

Il progresso e l’armonia sono le basi di ogni metodo di illuminazione. Progresso significa raggiungere l’auto-miglioramento attraverso lo sforzo individuale e diffondere un’influenza positiva sul mondo. Armonia significa migliorare se stessi senza ferire gli altri e contribuire alla felicità di molti. Quando queste due direzioni sono combinate, danno vita al Principio dell’Illuminazione. È un percorso di progresso infinito, armonia infinita e felicità senza fine.

La liberazione dal Karma

La legge del cambiamento si applica parimenti all’anima”. Nell’individuo non è presente un principio immortale e immutabile. Soltanto il ”Senza – Nome”, la Realtà ultima, sta al di là del cambiamento. Tutte le forme di vita sono manifestazioni di questa Realtà.

L’universo è l’espressione della legge. Tutti gli effetti hanno delle cause e l’anima o il carattere dell’uomo sono la somma totale dei suoi precedenti pensieri e azioni. Il karma, nel senso di azione-reazione, governa tutta l’esistenza e l’uomo è l’unico artefice della propria situazione e della sua reazione a essa, della sua condizione futura e del suo destino finale. Mediante retto pensiero e retta azione, egli può gradualmente purificare la sua natura profonda e così, tramite l’auto – realizzazione, col tempo raggiungere la liberazione dalle rinascite. Il processo richiede lunghi periodi di tempo, implicando vita dopo vita in terra, ma alla fine ogni forma di vita raggiungerà l’Illuminazione.

la compassione

La vita è una e indivisibile, sebbene le sue forme in continuo cambiamento siano innumerevoli e caduche. Non c’è, in verità, alcuna morte, sebbene ogni forma debba perire. Dalla comprensione dell’unità della vita deriva la compassione, un senso di identità con la vita in altre forme. La compassione è descritta come “Legge delle Leggi – eterna armonia” e colui che rompe questa armonia della vita soffrirà conformemente e ritarderà la propria Illuminazione.

La Via dell’illuminazione deve essere percorsa dall’uomo intero, e il cuore e la mente devono essere sviluppate allo stesso modo. Il Buddha fu il pienamente Compassionevole come il pienamente Illuminato.

source:

http://www.fiorediloto.org/quattro.htm