Inferno dantesco: psicosintesi all’opera

La Ragione come guida

Abbiamo visto che all’inizio del viaggio Dante accetta la volontà di Virgilio e quindi lo accetta come sua guida per un viaggio attraverso l’Inferno. Virgilio lo lascerà nel momento in cui comprende che Dante è signore di se stesso cioè che è diventato per così dire il “direttore d’orchestra” delle sue sub personalità. La psicosintesi personale sarà stata effettuata. Dante sarà in controllo delle sue energie e capace di utilizzarle secondo la sua Volontà allineata con la Volontà divina, per cui potrà seguire i suoi desideri senza causare danno.

Inferno

Il viaggio compiuto da Virgilio e Dante nell’Inferno è un esame particolareggiato delle sub personalità mal gestite che possono degenerare e creare gravi conseguenze. Queste debolezze si possono purificare in Purgatorio e volgerle ad un uso migliore.

La porta d’ingresso dell’Inferno reca un’iscrizione con parole terribili di dannazione e di dolore ma, nella più fitta oscurità, sono i lamenti dei dannati del vestibolo infernale a muovere Dante alle lacrime.

Gli Ignavi

La prima schiera di peccatori che incontra è quella degli ignavi, i pusillanimi che per paura non seppero seguire il bene e che per viltà neppure perseguirono il male.

Dante parla degli ignavi nel terzo cantico. Queste anime in verità non sono neanche all’Inferno, ma nell’antinferno.

” sono l’anime triste di coloro / che visser sanza infamia e sanza lodo.”

Sono coloro non si sono mai schierati né per il bene né per il male e che insomma non hanno mai vissuto veramente perché non hanno mai compiuto un atto di volontà. E l’atto di Volontà è un atto di esistenza. Coloro che sembrano non essere mai esistiti sono puniti con il non morire mai. Dante non li ritiene degni neppure dell’Inferno.

“misericordia e giustizia li sdegna:/ non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, dice Virgilio di loro.

Caronte

Dante e Virgilio raggiungono il fiume Acheronte, dove una folla di anime attende il passaggio all’altra riva. Caronte, il traghettatore, intima a Dante di allontanarsi dato che è destinato a un altro regno ultraterreno, ma si placa non appena Virgilio indica nella volontà divina il motivo della sua presenza.

La famosa frase pronunciata da Virgilio a Caronte per placare le proteste degli spiriti infernali che si erano accorti che Dante fosse vivo recita così:

“Caron non ti crucciare. Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole, e più non dimandare.”

E’ una frase che spesso ripeto a me stessa quando mi trovo a ridimensionare il mio Ego, ad ammettere che ci sono cose che non posso comprendere.

Caronte e gli spiriti si placano ad ascoltare quelle parole. Ciò significa che tutti gli spiriti sono volontariamente  “sottomessi” alla legge divina, laddove Volontà e Potenza sono le qualità di Dio. Dio può ciò che vuole.

I lussuriosi

Nel II Cerchio, cioè nel canto V dell’Inferno, Dante e virgilio incontrano le anime dei lussuriosi. Anche se non viene detto esplicitamente, sono accomunate dal fatto di essere personaggi morti in modo violento a causa dell’amore (fra loro vi sono anche Paolo e Francesca). Vi si trovano tra gli altri Cleopatra, Didone, Semiramide, Elena di Troia, Achille e Paride.

Le  anime di Francesca da Polenta e Paolo Malatesta volano affiancate nella bufera infernale che trascina i lussuriosi e Dante chiede a Virgilio il permesso di parlare con loro. Francesca dapprima si presenta e ricorda l’assassinio subìto ad opera del marito, poi (su richiesta di Dante) spiega la causa del loro peccato, ovvero la lettura del romanzo di Lancillotto e Ginevra che li spinse a intrecciare una relazione amorosa. Le parole di Francesca che narrano dell’adulterio e della morte violenta dei due commuovono Dante al punto di fargli perdere i sensi. Sicuramente questa storia gli risuonava interiormente in modo particolare.

Incontro con Ulisse e Diomede

Sul fondo della VIII Bolgia Dante vede molte fiamme. Intuisce che ogni fiamma nasconda un peccatore ma la sua attenzione viene colpita da una fiamma a due punte.

Virgilio risponde che all’interno ci sono Ulisse e Diomede, i due eroi greci che furono insieme nel peccato e ora scontano insieme la pena. I due sono dannati per l’inganno del cavallo di Troia, per il raggiro che sottrasse Achille a Deidamia e per il furto della statua del Palladio. Dante chiede se i dannati possono parlare dentro il fuoco e prega Virgilio di far avvicinare la duplice fiamma, tanto è il desiderio che lui ha di parlare coi dannati all’interno.

Quando la fiamma giunge abbastanza vicina ai due poeti, Virgilio si rivolge ai due dannati all’interno e prega uno di loro di raccontare le circostanze della sua morte.

Ulisse racconta che dopo essersi separato da Circe, che l’aveva trattenuto per più di un anno a Gaeta, né la nostalgia per il figlio o il vecchio padre, né l’amore per la moglie poterono vincere in lui il desiderio di esplorare il mondo. Si era quindi messo in viaggio in alto mare, insieme ai compagni che non lo avevano lasciato neppure in questa occasione. Si erano spinti con la nave nel Mediterraneo verso ovest, costeggiando la Spagna, la Sardegna, il Marocco, giungendo infine (quando lui e i compagni erano molto anziani) fino allo stretto di Gibilterra, dove Ercole pose le famose colonne.

L’uomo che non vuole accettare i propri limiti

Ulisse si era rivolto ai compagni, esortandoli a non negare a se stessi, giunti ormai alla fine della loro vita, l’esplorazione dell’emisfero australe della Terra totalmente disabitato.

« “O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. »

Questa è un’altra potente sub personalità di Dante, che lo affligge in modo particolare.

«Allor mi dolsi, ed ora mi ridoglio / quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi».

La sua commozione tuttavia sostenuta da un appello alla virtù: «e più lo ingegno affreno ch’io non soglio, / perché nol corra che virtù nol guidi»

Ulisse prosegue il suo racconto. Il plenilunio si era già ripetuto cinque volte (erano passati cinque mesi) dall’inizio del viaggio, quando era apparsa loro una montagna scura per la lontananza e più alta di qualunque altra avessero mai visto. Ulisse e i compagni se ne rallegrarono, ma presto l’allegria si tramutò in pianto. Da quella nuova terra sorse una tempesta che investì la prua della nave, facendola ruotare tre volte su se stessa. La quarta volta la inabissò levando la poppa in alto, finché il mare l’ebbe ricoperta tutta.

Metafora della mente e della scienza

L’ansia di ricerca o di conoscenza o di “scienza” spinta all’estremo limite, che nella tradizione antica costituiva la peculiarità positiva dell’eroe omerico, in Dante diventa il peccato che condanna l’eroe per il fatto di aver disdegnato i limiti imposti alla natura umana.

Il racconto mostra  la debolezza dell’ingegno o della mente umana quando abbandonata alle sue sole forze, priva della guida della Grazia. Il viaggio di Ulisse è “folle” come è folle pensare che l’essere umano possa conoscere tutta la verità con le sole capacità della propria mente. Infatti la vera conoscenza non è un fatto solo mentale, ma anche spirituale e di fede.

La legge del contrappasso

Nell’Inferno e nel Purgatorio di Dante le anime dei peccatori vengono punite secondo la legge del contrappasso. La penaloro inflitta, cioè, viene stabilita secondo i peccati commessi in vita, per analogia o per contrario. A ben pensarci questa legge del contrappasso non è diversa dalla legge del karma.

In parole povere l’uomo raccoglierà ciò che ha seminato. Il karma sarebbe il resoconto delle azioni in bene e in male che l’individuo ha compiuto nelle precedenti esistenze, bagaglio che si porta dietro nella vita attuale e che lo influenza come destino, come indole, carattere e abitudini, ma anche da un punto di vista morale e spirituale.

L’essere umano infatti è vittima dell’illusione della separazione. Non si rende conto di fare parte del tutto ma si percepisce come una individualità unica e divisa dal resto del mondo. Provocando dolore ad un altro uomo, ad esempio, non si rende conto di colpire se stesso, considerato come grande Sé cosmico. L’esempio più bello è come se la testa, che non si rende conto di far parte di un unico corpo, decidesse di uccidere la mano, percependolo come un soggetto a lui esterno. La testa penserà di aver ucciso una mano ma il realtà ha ucciso una parte del suo corpo.

La sofferenza dell’uccisione spesso non si manifesta nella vita presente, ma in una futura incarnazione, nella quale proveremo lo stesso dolore inflitto ad un altro uomo nella vita precedente.

Lucifero

Lucifero è sempre un simbolo molto interessante. Il nome latino significa “portatore di luce”. Secondo una tradizione medievale che interpretava alcuni passi biblici, Lucifero era uno dei Serafini, l’angelo più bello e luminoso del creato. Ribellatosi a Dio per superbia e invidia assieme ad altri angeli, fu sconfitto dall’arcangelo Michele e precipitato dal Cielo al centro della Terra, trasformandosi in un orrendo mostro e nel principe dei diavoli. Al contatto con Lucifero la Terra si sarebbe ritratta dando origine alla voragine infernale nell’emisfero nord, alla montagna del Purgatorio in quello sud.

Nel CantoXXXIV dell’Inferno Dante descrive Lucifero come un’enorme e orrida creatura, pelosa, dotata di tre facce su una sola testa e tre paia d’ali di pipistrello. Lucifero è confitto dalla cintola in giù nel ghiaccio di Cocito, quindi emerge solo il lato superiore del mostro. Il mostro sbatte le ali, producendo un vento freddo che fa ghiacciare le acque del lago di Cocito, dove sono confitti i traditori che scontano la sua stessa pena. Il peccato di Lucifero infatti consiste proprio nel tradimento, poiché osò ribellarsi contro il suo Creatore.

Dante e Virgilio si aggrappano al pelo del mostro e scendono lungo le sue costole, oltrepassando la crosta di ghiaccio e ritrovandosi nell’altro emisfero, dove di Lucifero sporgono le zampe. Una volta qui, i due poeti raggiungono una piccola apertura nella roccia, da dove iniziano a percorrere una “natural burella” (uno stretto budello sotterraneo) che mette in comunicazione il centro della Terra con la spiaggia del Purgatorio. Attraverso Lucifero si passa nel Purgatorio. Simbolicamente eloquente. Il male dentro di sè “porta la luce”, ha il seme del bene.

References

Reading The Divine Comedy from a Psychosynthesis Perspective —
Catherine Ann Lombard and Kees den Biesen

The Symbolism of the Divine Comedy by Sergio Guarino

Quando andare all’inferno non fa paura di  Laura Maninchedda