La Divina Commedia o la perfetta psicosintesi

La Divina Commedia psicosintesi perfetta

Roberto Assagioli spesso suggeriva di leggere la Divina Commedia di Dante Alighieri, che definiva come “una meravigliosa descrizione di una psicosintesi completa.”
Infatti la Divina Commedia può essere letta seguendo la visione di Assagioli della psiche umana, il  cosiddetto diagramma ad uovo.
Il pellegrinaggio di Dante attraverso l’Inferno può essere interpretato come simbolo della esplorazione analitica dell’inconscio inferiore. L’ascesa di Dante alla montagna del Purgatorio indica il processo di purificazione e il graduale innalzamento del livello di consapevolezza. E infine il Paradiso descrive i vari stadi del superinconscio fino alla visione finale del Sé in cui sono sintetizzati Amore e Volontà.

La notte buia dell’anima

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!
Tant’ è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.
Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,
tant’ era pien di sonno a quel punto
che la verace via abbandonai.

Canto I -Inferno

Dante incomincia col raccontare che, giunto a quella che si può dire la “mezza età”, si era ritrovato in uno stato in cui, dal punto di vista psicosintetico, aveva smarrito la diritta via, cioè la connessione dell’Io con il Sé. Più precisamente aveva smarrito la capacità di sintetizzare la coscienza e la volontà dell’Io centrale con la coscienza e la volontà del Sé o Anima.

Questa sensazione di essere lontano dal contatto con l’anima è ben descritto da Dante come il ritrovarsi in una foresta buia, senza sapere dove andare. Poiché l’Anima è simbolizzata dalla Luce che irradia, il buio ben rappresenta la completa mancanza dell’Anima. L’anima in realtà è sempre lì, ma si perde la capacità di sentirla.

Questo stato di smarrimento è così terribile che Dante ha i brividi solo a pensarci!
E’ proprio così. Non si sa come ci si viene a trovare in questo stato di totale disconnessione con il Sé o Anima. Di sicuro è una situazione di grande sofferenza e confusione che, secondo Assagioli, spesso precede proprio “il risveglio dell’anima”.
La “notte buia dell’anima” è un periodo di grande crisi che sopraggiunge con la consapevolezza dell’illusorietà di tutto quanto ha appagato l’individuo fino a quel momento. La persona ha bisogno di ri-orientare la sua vita seguendo valori più alti.
Ma spesso la mente si trova in una situazione di totale annebbiamento che le impedisce di vedere il cammino verso la luce.

Il risveglio dell’Anima

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,
là dove terminava quella valle
che m’avea di paura il cor compunto,
guardai in alto e vidi le sue spalle
vestite già de’ raggi del pianeta
che mena dritto altrui per ogne calle.
Allor fu la paura un poco queta,
che nel lago del cor m’era durata
la notte ch’i’ passai con tanta pieta.
E come quei che con lena affannata,
uscito fuor del pelago a la riva,
si volge a l’acqua perigliosa e guata,
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,
si volse a retro a rimirar lo passo
che non lasciò già mai persona viva.
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,
ripresi via per la piaggia diserta,
sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso.

Ad un certo punto Dante si trova fuori dalla valle oscura e guardando in alto scorge davanti a sé una montagna dietro cui si intravedevano i raggi del sole.
Secondo Assagioli proprio questa descrizione della montagna in cima alla quale si vedono i raggi del sole corrisponde al risveglio dell’Anima.

In altre parole, la persona, l’Io, anche se solo per un attimo ha la consapevolezza del proprio Sé o Anima, o per dirla alla Maslow ha una peak experience. Questo momento è di grande conforto, la visione della luce immediatamente calma la paura.

La bestia o l’inconscio inferiore

Naturalmente Dante desidera andare verso la luce e comincia ad arrampicarsi con passo spedito verso il colle, ansioso di allontanarsi da quella foresta così spaventosa.

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,
ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.
Temp’ era dal principio del mattino,
e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle
ch’eran con lui quando l’amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch’a bene sperar m’era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l’ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m’apparve d’un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test’ alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l’aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch’uscia di sua vista,
ch’io perdei la speranza de l’altezza.

Ma la sua ascesa verso il Sé è impedita da tre bestie feroci che gli appaiono sul cammino e gli impediscono di procedere.
Assagioli spiega che, una volta che l’anima si è risvegliata, anche l’Io personale si risveglia e vuole affermarsi con rinnovata forza. A volte accade anche che pulsioni dell’inconscio inferiori fino ad allora dormienti siano rivitalizzate dalle energie superiori.
Le bestie possono essere viste come simboli di questa energia dell’inconscio inferiore risvegliata dalla presenza della luce e dell’energia provenienti dal Sé. Queste bestie o pulsioni inconsce o anche sub personalità dell’inconscio inferiore si oppongono all’ascesa di Dante verso la luce.
Infatti il poeta viene ricacciato indietro dalla loro presenza. Simbolicamente l’inconscio inferiore acquista energia e catalizza tutte le attenzioni dell’Io. L’ascesa è impedita non dalla Volontà ma da forze oscure e inconsce.

La richiesta di aiuto

E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne ‘l tempo che perder lo face,
che ‘n tutti suoi pensier piange e s’attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove ‘l sol tace.
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui,
«qual che tu sii, od ombra od omo certo!».

La “bestia“, l’inconscio inferiore, l’essere animale dell’uomo, l’Ombra, mettendogli paura respingeva a poco a poco Dante indietro verso la selva oscura. La cosa lo faceva disperare non poco, ma proprio nel momento di maggiore sconforto Dante scorge una figura umana, a cui implora aiuto, pur non essendo certo che sia in carne ed ossa o anima.

La Ragione interviene in aiuto dell’Io

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,
e li parenti miei furon lombardi,
mantoani per patrïa ambedui.
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,
e vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto
nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.
Poeta fui, e cantai di quel giusto
figliuol d’Anchise che venne di Troia,
poi che ‘l superbo Ilïón fu combusto.
Ma tu perché ritorni a tanta noia?
perché non sali il dilettoso monte
ch’è principio e cagion di tutta gioia?».
«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte
che spandi di parlar sì largo fiume?»,
rispuos’ io lui con vergognosa fronte.
«O de li altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,
tu se’ solo colui da cu’ io tolsi
lo bello stilo che m’ha fatto onore.
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;
aiutami da lei, famoso saggio,
ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi».

La figura si presenta come l’anima di Virgilio, il grande poeta romano che Dante aveva studiato e aveva sempre tenuto in grande considerazione.
Metaforicamente, per combattere le pulsioni inconsce, o la bestia, Dante chiede aiuto alla Ragione, simbolizzata dalla saggezza e dalla capacità discriminatoria di Virgilio.

La Ragione guida per la psicosintesi personale

Virgilio fu per Dante un mentore  che gli insegnò molto, non solo per quel che concerne lo stile letterario. Fu per lui anche un maestro di vita.

L’autore dell’Eneide chiede a Dante perché non sale il monte che promette così tanta felicità e invece vuole ritornare alla selva. Dante spiega che la bestia lo ricaccia indietro e chiede aiuto alla sua saggezza.
Così Virgilio diviene la guida ideale che porterà Dante a conoscere il suo vero Io e a compiere una vera e propria psicosintesi. Per compiere la nostra psicosintesi dobbiamo esplorare le vaste regioni dell’inconscio, meglio se con l’aiuto di un’altra persona.
Virgilio simboleggia la ragione, ma dice Dante, a causa del lungo silenzio sembrava fioco. Che significa che Virgilio appare fioco? Dante sa che la sua ragione, la sua capacità più umana, ha taciuto per molto tempo e tuttavia è ancora presente.

Alla ragione può chiedere il primo aiuto, che gli viene dato subito, con il consiglio di fare un altro percorso: un viaggio interiore di autoanalisi che lo aiuti ad esaminare i propri “peccati”, cioè le proprie subpersonalità più dannose (dannose perché mal governate e hanno quindi preso il sopravvento  trascinandolo in direzioni sbagliate)

Il viaggio del’Io di Jung

Jung, che per certi versi è molto vicino ad Assagioli, ancor prima aveva parlato di un analogo “viaggio dell’Io”. Si tratta del processo di individuazione, un “processo di differenziazione che ha per méta lo sviluppo della personalità individuale.”
Questo processo unico ed irripetibile di ogni individuo consiste nell’avvicinamento dell’Io al Sé, con una crescente integrazione ed unificazione delle varie parti della psiche. L’Io compie una sorta di “viaggio spirituale” per incontrare dapprima l’Ombra, poi l’Animus o Anima ed acquisire una maggiore consapevolezza di sé. Poi incontra l’archetipo del Vecchio Saggio o la Grande Anima ed infine il Sè.
Questo viaggio è come un Mandala che porta verso un punto centrale, il Sé, che tutto contiene.

La Ragione si propone come guida

«A te convien tenere altro vïaggio»,
rispuose, poi che lagrimar mi vide,
«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;
ché questa bestia, per la qual tu gride,
non lascia altrui passar per la sua via,
ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide;
e ha natura sì malvagia e ria,
che mai non empie la bramosa voglia,
e dopo ‘l pasto ha più fame che pria.

Virgilio offre il suo aiuto e spiega che è necessario fare un’altra strada per arrivare in cima, poiché la bestia non lascia passare nessuno ma piuttosto lo uccide.

La Ragione avverte sui suoi limiti

Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno
che tu mi segui, e io sarò tua guida,
e trarrotti di qui per loco etterno;
ove udirai le disperate strida,
vedrai li antichi spiriti dolenti,
ch’a la seconda morte ciascun grida;
e vederai color che son contenti
nel foco, perché speran di venire
quando che sia a le beate genti.
A le quai poi se tu vorrai salire,
anima fia a ciò più di me degna:
con lei ti lascerò nel mio partire;

Virgilio spiega che, arrivati alla salita finale, uno spirito femminile più degno di lui accompagnerà Dante nella scalata finale per conoscere la luce.

Importanza dell’Inferno

Dante non può salire direttamente ma prima deve conoscere l’Inferno, che rappresenta il suo inconscio inferiore. Lo scopo è conoscere il proprio inconscio inferiore per capirlo e portarlo sotto il proprio controllo. Infatti l’Io non può nemmeno immaginare di compiere una psicosintesi senza utilizzare le potenti energie dell’inconscio inferiore. Il punto è portarle sotto il proprio controllo.

Questo è davvero importante. Non si può salire il monte senza attraversare prima l’Inferno. Non ci si può illudere di passare direttamente al Paradiso evitando l’Inferno. E’ impossibile raggiungere la gioia e il bene senza aver conosciuto il male e la sofferenza. La sofferenza, perciò, ha un valore evolutivo.

In seguito Dante dovrà scalare la montagna del Purgatorio e passare attraverso il fuoco della purificazione per redimere e trasformare la sua natura inferiore. Solo allora sarà in grado di continuare la sua salita verso la luce e conoscere il Paradiso. Solo dopo la realizzazione e l’accettazione della propria responsabilità, rappresentata dal Purgatorio, si può creare lo spazio interiore per l’esperienza della beatitudine.

La paura del viaggio

Ma io perché venirvi? o chi ‘l concede?
Io non Enea, io non Paulo sono:
me degno a ciò né io né altri ‘l crede.

Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono».

La discesa agli inferi con la guida di Virgilio inizia al calar del giorno, e l’ora del tramonto rinnova in Dante le paure e insieme gli fa sorgere un dubbio: la visione dei regni dell’oltretomba fu concessa soltanto a Enea e a san Paolo in virtù dei loro meriti e delle missioni a loro affidate. Queste missioni furono la fondazione di Roma e dell’impero per Enea, il consolidamento della fede cristiana per san Paolo. Perché allora concedere un’analoga possibilità proprio a lui, certo non altrettanto degno? Chi lo permette?

Dante si sente indegno di tanta attenzione. Teme di comportarsi da folle. Secondo Assagioli queste sono le resistenze all’intraprendere un viaggio così arduo, quello della psicosintesi.

La risposta di Virgilio

«S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell’ombra;
«l’anima tua è da viltade offesa;
la qual molte fiate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra.

Virgilio identifica subito il comportamento di Dante come codardia o viltà. Dante è spaventato dalla sua stessa Ombra, cioè il suo inconscio inesplorato.
Allora per tranquillizzare Dante, Virgilio gli spiega il motivo perché è venuto in suo soccorso.

Le qualità superiori intervengono in aiuto

Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange.

Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -.

Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele.
Disse: – Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera?

non odi tu la pieta del suo pianto?
non vedi tu la morte che ‘l combatte
su la fiumana ove ‘l mar non ha vanto?

L’aiuto dall’alto

Beatrice stessa ha chiesto a Virgilio di aiutarlo. L’iniziativa comunque è venuta dalla Vergine Maria che simboleggia pietà e compassione. Poi santa Lucia il cui nome significa Luce andò da Beatrice, la quale fu mossa dal suo amore per Dante a mandare Virgilio.
La paura di Dante cessa udendo che tre donne benedette sono venute in suo soccorso. Le tre donne Maria, Lucia e Beatrice simboleggiano la Grazia divina, la Luce e la Saggezza.
Sono qualità trans personali del superinconscio che ci aiutano nel nostro sviluppo personale. In parole povere, come l’Io desidera ascendere verso il Sé, anche il Sé è sempre pronto a dare una mano all’Io.

La figura di Beatrice

Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi.

Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella:

“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ‘l mondo lontana,

l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che volt’è per paura;

e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito.

Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ha mestieri al suo campare
l’aiuta, sì ch’i’ ne sia consolata.

I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare.

Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui”.

Lo spirito femminile che avrà il compito di accompagnare Dante in Paradiso è Beatrice, amica d’infanzia e vicina di casa di Dante, morta a soli 24 anni. Musa ispiratrice per il poeta, rappresenta anche l’aspetto trans personale della Saggezza Divina.

La Saggezza Divina

Ma perché non è lei ad accompagnare Dante per l’intero viaggio? Lo spiega Assagioli, perché la saggezza divina non si rivela all’individuo se non dopo un processo di purificazione.
La Ragione ha i suoi limiti. Per andare oltre e conoscere il divino sono necessarie qualità superiori come il riconoscimento della Bellezza e della Grazia e l’Amore. Per raggiungere le vette più alte è necessario un atto di Fede, che è opposto alla razionalità.
Nel poema Beatrice ha anche un valore allegorico, ovvero quello della grazia divina e della teologia rivelata che sole possono condurre l’uomo alla salvezza eterna.
Per questa ragione Beatrice manda Virgilio ad accendere la consapevolezza in Dante, ma Virgilio non può guidare Dante fino al paradiso, può guidarlo solo per una psicosintesi personale, non trans personale.
Fintantoché Dante non ha armonizzato il suo inconscio inferiore e superiore e la sua parte cosciente in quello che è un Io centrale personale, non può essere guidato dalla divina saggezza verso il suo Sé trans personale.

La decisione di affrontare il viaggio

«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse!

Tu m’hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto.

Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore, e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue,
intrai per lo cammino alto e silvestro.

Alla fine Dante si convince. Sentendosi protetto da tre donne benedette, si dichiara pronto a cominciare il viaggio.

 

references

Reading The Divine Comedy from a Psychosynthesis Perspective —
Catherine Ann Lombard and Kees den Biesen

The Symbolism of the Divine Comedy by Sergio Guarino

Quando andare all’inferno non fa paura di  Laura Maninchedda