Purgatorio e Paradiso dantesco: metamorfosi spirituale

Il Purgatorio

La spiaggia in cui si ritrovano Virgilio e Dante fa parte di un’isola su cui si innalza la montagna del Purgatorio. Quest’ultimo si contrappone all’Inferno in molti modi. Prima di tutto in senso fisico: alla cavità a imbuto dell’Inferno corrisponde, nell’emisfero opposto, il monte del Purgatorio. Il secondo regno è dunque un calco esatto del primo.

Nell’Inferno Dante scende verso il centro della Terra, verso i peccati peggiori fino a Lucifero. Nel Purgatorio invece sale verso il cielo purgando peccati via via più lievi.

L’Inferno è il regno della dannazione e della disperazione, il Purgatorio è il regno della salvezza.

Nel Purgatorio gli spiriti purganti passano da una balza all’altra e si purificano delle tendenze peccaminose attraverso un triplice meccanismo che comprende la pena, la preghiera, gli esempi di persone che si sono distinte nella virtù contraria al peccato. Man mano che espiano le loro colpe, i penitenti risalgono la montagna, fino a quando raggiungono la cima.

Più che espiare colpe si tratta d’invertire il cammino interiore: si eliminano i difetti, accendendo e accrescendo le virtù. Si ha così un graduale passaggio dal male al bene.

Paradiso terrestre

In cima al monte, ad occuparne tutta la sommità, c’è il Paradiso Terrestre. Una “divina foresta” eternamente fiorita di tutte le varietà di piante. Qui giungono le anime del Purgatorio prima di salire in Paradiso. Qui scorrono due fiumi: il Letè, che fa dimenticare le colpe commesse, e l’Eunoè, che fa ricordare il bene compiuto.  Dopo essersi bagnate in questi due fiumi, le anime purificate possono finalmente entrare nel Paradiso celeste.

Importanza del Purgatorio

Il peccato può essere una via di redenzione e di presa di coscienza e così il Purgatorio dà un senso ai nostri errori ed è necessario all’evoluzione.

Alla porta del Purgatorio un angelo incide con la spada sette P sulla fronte di Dante, simboleggianti i sette peccati capitali da cui dovrà purificarsi durante il viaggio. L’ultima P sarà cancellata dall’Angelo della Castità davanti alla scala per il Paradiso Terrestre.

Apparizione di Beatrice e scomparsa di Virgilio

Risalendo le sponde del Leté viene verso di loro una processione mistica composta da uomini, donne e animali che avanza nella scia di sette candelabri dorati.

La processione si arresta davanti a Dante e ai suoi compagni. Appare Beatrice, che racconta ai presenti la storia del traviamento del suo protetto. Questi si volta verso Virgilio, ma la sua guida è scomparsa.

Il Paradiso

Giungendo nel Paradiso celeste ci si discosta nettamente da tutto ciò che è terreno: le zone visitate sono composte da luce e aria e l’unico legame che si ha con la Terra è l’influenza che esercitano i cieli sul mondo sottostante. Tutto è eterno ed etereo.

Le parti che compongono il Paradiso non hanno una struttura fisica e concreta perché ogni elemento è prettamente spirituale. Nell’Inferno e nel Purgatorio i dannati e le anime avevano una sede precisa in cui restavano puniti in eterno o in cui si fermavano per espiare un particolare peccato commesso. Nel Paradiso le anime beate non hanno restrizione e sono ammesse a godere di ogni luogo.

Tutte le anime del Paradiso sono nell’Empireo ma compaiono nei diversi stadi per segnalare i diversi gradi di beatitudine. Tutte le anime beate sono felici perchè la loro volontà è uguale a quella di Dio.

La struttura del Paradiso

Riallacciandosi alla cosmologia tolemaica Dante immagina che, oltre una sfera detta “sfera del fuoco”, che divide il mondo terrestre dal Regno del Cielo, intorno alla Terra ruotino nove cieli concentrici. Questi cieli sono composti da una sostanza detta etere (qualcosa di simile all’aria) e muovendosi brillano, emettono suoni soavi, e riescono ad influenzare gli avvenimenti che hanno luogo sulla Terra e le persone che la abitano. I cieli concentrici ruotano attorno alla Terra con un movimento che aumenta di intensità dal primo all’ultimo.

I primi sette cieli corrispondono ciascuno a un pianeta del Sistema solare. Oltre questi primi sette cieli ne troviamo un ottavo, quello delle “Stelle Fisse” dove si trovano le costellazioni visibili dalla Terra. Poi c’è il nono cielo, detto “Primo Mobile” perché è il cielo che, muovendosi per primo, trasmette il suo movimento a tutti gli altri.

Oltre i nove cieli entriamo in un regno eterno, sterminato, che abbraccia tutto quanto esiste al di sotto di esso: l’Empireo. Qui ha sede Dio circondato dagli angeli e dalla Rosa dei beati. In questa “Candida Rosa” risiedono le anime del Paradiso che sono appunto candide e sono fatte di pura luce.

Il grado di beatitudine delle anime sarà da Dante espresso con un intensificarsi della luminosità e della melodia, oltre che con il movimento diretto da Dio, “colui che tutto muove”.

Ascesa di Dante al Paradiso

Il Paradiso, che non può essere compreso attraverso la ragione ma attraverso la fede, richiede la presenza di guide diverse da Virgilio, che appunto rappresenta la Ragione. Le nuove guide sono Beatrice e San Bernardo.

Ma come avviene l’ascesa di Dante al Paradiso Celeste?

Dante vede Beatrice volta sul fianco sinistro, verso oriente, con lo sguardo fisso nel sole. Così il poeta, che con gli occhi ha seguito il gesto di Beatrice e lo ha impresso nella sua mente, lo ripete e alza lo sguardo verso il sole, mantenendolo per un tempo maggiore di quanto un uomo normalmente possa sopportare.

L’immagine di Beatrice che fissa gli occhi nel disco solare ci fa capire, dunque, che siamo alle soglie di un mondo e di un’esperienza dove nulla ormai funzionerà come siamo abituati noi a vedere sulla terra o anche nell’Inferno e nel Purgatorio.

L’ascesa del poeta al Paradiso

Successivamente Dante ha la sensazione di una luce così intensa che un altro sole, per opera di Dio, pare essersi aggiunto al primo. Il poeta si sta progressivamente avvicinando alla sfera della luce, sta oltrepassando la sfera del fuoco verso il Paradiso celeste.  L’immagine del progressivo crescere dello splendore e del fuoco, che sembra nascere dai raggi del sole, segna l’ascesa del poeta dalla terra del Paradiso terrestre al cielo della Luna. L’intensificarsi della luce segna cioè il passaggio attraverso la sfera del fuoco che delimita il confine tra il mondo corruttibile e imperfetto e il mondo perfetto e incorruttibile della sfera celeste.

L’ascesa comporta l’atto di tenere lo sguardo fisso nel sole. Questa è una condizione che Dante non può sostenere a lungo, benché sia riuscito a percepire l’intensità di tale luce in misura maggiore rispetto alle normali potenzialità umane. Non potendo continuare a fissare la luce, Dante usa gli occhi di Beatrice come uno specchio. Egli contempla la luce del Paradiso celeste attraverso gli occhi di Beatrice.

L’immagine evidenzia il ruolo di Beatrice nell’ultima parte del viaggio. In quanto rivelazione divina, essa costituisce il tramite fondamentale tra Dio e l’uomo.

Il Trasumanar (o il transpersonale?)

Dante tenta di descrivere con le povere parole degli uomini una sorta di metamorfosi interiore la cui natura è conoscibile fino in fondo solo ai beati, coloro che avranno la fortuna di sedere in Paradiso a contemplare la grazia divina.

Questa metamorfosi spirituale e divina  è indicata con il neologismo trasumanar, che letteralmente significa “andare oltre l’umano”. Per descrivere un’esperienza così oltre l’umano, oltre la normalità, come quella del Paradiso, non ci sono parole.

Dante non si accorge dello stacco da terra, non si accorge materialmente del volo graduale che sta compiendo dal Paradiso terrestre alla sfera del fuoco e di qui al cielo della Luna. La sua metamorfosi, il suo cambiamento è solo interiore. In termini psicosintetici c’è un progressivo aumento di coscienza che caratterizza la psicosintesi transpersonale, che va oltre la “persona”.

La prima esperienza del Divino

La prima esperienza che Dante ha del Paradiso è duplice, è fatta di suono e di luce. In primo luogo  percepisce  l’armonia divina, la musica delle sfere celesti, accordata e regolata da quel supremo direttore d’orchestra che è Dio stesso. La seconda è la sensazione che il sole dilaghi improvvisamente per tutta l’estensione del cielo, come un’alluvione di luce.

Beatrice guida il poeta fino al momento prima di vedere Dio, quando interverrà San Bernardo di Chiaravalle. Mentre Beatrice è  maestra di filosofia e teologia, San Bernardo si presenta a Dante come un padre amorevole, e intercede per lui con la Vergine attraverso la preghiera.

La fede in questa guida comporta un abbandono totale alla visione della divinità: non c’è più riflessione teologica o filosofica intorno al divino ma solo contemplazione e abbandono.

Dante, spiega Bernardo a Maria, è giunto all’Empireo dal profondo dell’Inferno e ha visto lo stato delle anime dopo la morte, quindi la supplica di concedergli la virtù sufficiente per figgere lo sguardo nella mente di Dio. Il santo prega Maria affinché gli venga concesso questo dono, che egli desidera per Dante più di quanto l’abbia mai bramato per sé, e chiede alla Vergine di dissipare ogni velo che offusca gli occhi mortali del poeta. La implora infine di conservare intatti i sensi di Dante dopo una tale visione e la invita ad accogliere la sua preghiera alla quale si uniscono idealmente tutti i beati della rosa, inclusa Beatrice.

La visione del divino

Maria tiene il suo sguardo fisso in quello di san Bernardo, dimostrando così di accogliere la sua preghiera, poi lo rivolge alla luce di Dio, nella quale solo lei può addentrarsi con tanta chiarezza.

Dante si avvicina al compimento di tutti i suoi desideri, cosicché consuma in sé tutto il proprio ardore, mentre Bernardo con un cenno e un sorriso lo esorta a guardare in alto. La vista di Dante, diventando via via più chiara, si inoltra nella luce divina e da quel momento in poi la visione del poeta è tale che il linguaggio è insufficiente a esprimerla, così come anche la memoria non è in grado di ricordarla pienamente.

Il poeta è simile a colui che sogna e, al risveglio, non ricorda nulla pur conservando nell’animo una forte impressione, in quanto egli ha dimenticato quasi tutta la sua visione e conserva in cuore la dolcezza infinita che essa gli provocò.

Dante guarda nella mente divina

Gli elementi centrali della seconda parte del Canto sono da un lato il tentativo quasi vano da parte di Dante di richiamare alla memoria ciò che ha visto e che eccede totalmente le capacità del suo intelletto dall’altro il tentativo altrettanto arduo di tradurre in parole umane, coi poveri mezzi della sua arte poetica, la profondità della visione.

Dante figge dunque lo sguardo nella mente di Dio. Il poeta acquista coraggio per sostenere quella straordinaria visione e addentra così il suo sguardo nell’infinito, spingendo la vista alle sue possibilità estreme. Vede nella mente divina tutto l’Universo legato in un volume, sostanze, accidenti e i loro rapporti uniti insieme. Dio è una mente creativa che tutto crea e tutto armonizza in modo perfetto.  Dio è un’intelligenza. Scorge l’essenza divina che unifica in un tutto armonico le cose create. Questa “intuizione”gli ha procurato una gioia che mai più dimenticherà. Maslow l’avrebbe chiamata un'”esperienza di vetta”.

Dante continua a tenere lo sguardo fisso nella luce divina, essendo impossibile volgere gli occhi altrove, poiché tutto il bene possibile è racchiuso in essa e ciò che lì è perfetto al di fuori è difettoso. Ormai ciò che riferirà della visione sarà meno di quanto potrebbe dire un bambino che sia ancora allattato dalla madre. E’ impossibile da descrivere.

La gloria di colui che tutto move
per l’universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.
    Nel ciel che più de la sua luce prende
fu’ io, e vidi cose che ridire
né sa né può chi di là sù discende;
    perché appressando sé al suo disire,
nostro intelletto si profonda tanto,
che dietro la memoria non può ire.
    Veramente quant’io del regno santo
ne la mia mente potei far tesoro,
sarà ora materia del mio canto.

Rivelazioni dei Misteri

La viva luce che Dante osserva è sempre uguale a se stessa, tuttavia è Dante a cambiare dentro di sé man mano che la sua vista si accresce. All’interno di essa egli intuisce tre cerchi, delle stesse dimensioni e di colori diversi (la Trinità). Il secondo cerchio (il Figlio) sembra il riflesso del primo (il Padre), come un arcobaleno che ne crea un altro. Il terzo (lo Spirito Santo) è come una fiamma che spira ugualmente dai primi due.

Il linguaggio di Dante è del tutto insufficiente a esprimere la propria visione, e questa, in rapporto all’essenza della Trinità, è davvero un nulla: egli ha visto la luce eterna che trova fondamento in se stessa, si comprende da sé e, compresa da se stessa, arde d’amore.

Nell’ulteriore esclamazione estatica del poeta: “O Luce eterna che sola in te risiedi, sola ti comprendi e da te sei compresa, e comprendendoti ti ami e arridi!” abbiamo un ribadire del concetto di Dio unico e trino, in quanto Dio in se stesso solo risiede, e in quanto comprende è il Padre, in quanto è compreso è il Figlio, mentre l’amore che spira da esso, da se stesso, è lo Spirito Santo.

Il mistero dell’Incarnazione

Dante si sofferma ad osservare il secondo cerchio (il Figlio), che sembra il riflesso del primo, e gli pare di vedere al suo interno l’immagine umana, dello stesso colore del cerchio e, tuttavia, perfettamente visibile. Il poeta si sente simile allo studioso di geometria, che cerca in ogni modo di risolver il problema della quadratura del cerchio e non vi riesce perché gli manca un elemento fondamentale. Anche lui cerca di capire quale sia il rapporto tra l’immagine e il cerchio, benché le sue sole forze siano insufficienti.

Egli cerca di penetrare nel mistero dell’incarnazione con lo strumento della ragione (di qui la similitudine con il matematico che tenta di risolvere un problema di geometria) e capire come in Cristo possano essere compresenti natura umana e natura divina (rappresentate dall’immagine del quadrato e dalla circonferenza in cui è inscritto). Tuttavia questo non è possibile, per i limiti stessi della ragione umana. Vi è una tensione continua tra l’abbandono mistico, proprio della fede, e lo sforzo razionale di comprendere il mistero di Dio.

Folgorazione e supremo appagamento di Dante

Dante riconosce la propria incapacità a comprendere il mistero dell’Incarnazione del divino nell’umano. Mentre tenta invano di capirla, viene illuminato dalla Grazia di Dio che folgorandolo gli permette di comprendere finalmente.

Questa sorta di folgorazione che investe il poeta è il mezzo attraverso cui  l’oggetto del suo desiderio, cioè la conoscenza di Dio, gli viene incontro. In seguito a questo improvviso bagliore, il desiderio di sapere viene soddisfatto. Ma quest’ultimo punto è davvero totalmente indicibile, e il poema si chiude così con l’espressione del poeta il cui desiderio di conoscenza è stato placato nell’armonia universale di Dio.  L’illuminazione, in una sorta di rapimento mistico, appaga il suo desiderio. Alla sua immaginazione ora mancano le forze, tuttavia l’amore divino ha ormai placato la sua volontà di conoscere, muovendola come una ruota che si muove in modo regolare e uniforme, nella perfetta armonia del Tutto.

La sua Volontà si è identificata con quella superiore di Dio.

” ma già volgeva il mio disìo e il velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’Amor che move il sole e l’altre stelle. 

La fine del viaggio

Dante si trova a essere in perfetta armonia intellettiva e affettiva con Dio (desiderio e volontà  coincidono con quelle di Dio). Infatti Dio, motore del cosmo, l’amor che move il sole e le altre stelle, armonizza il desiderio di Dante, la sua sete intellettuale di conoscenza, con la sua Volontà, in un movimento circolare il cui moto è uguale in ogni punto, come in una ruota.

In Dio, Amore, Luce e Volontà sono sintetizzati in una cosa sola.

Nella celebrazione di Dio come supremo amore e nel riconoscimento di essere parte dell’ordine da lui voluto, il viaggio di Dante si può dire concluso.

Il poema può allora chiudersi con la solenne dichiarazione del compimento del desiderio di conoscenza da parte del poeta, che trae origine non dall’acume del suo intelletto ma dall’atto di grazia che gli è stato concesso dall’amore divino.

La psicosintesi transpersonale è stata compiuta. L’io personale ha incontrato il Sè, il cammino verso il Sè si è concluso sia per il desiderio dell’Io di ascendere verso il Sè, sia per un atto d’amore del Sè di andare incontro all’Io in una reciproca attrazione amorevole. La Volontà dell’Io si è fusa con la Volontà del Sé e questo ha costituito la beatitudine dell’Io. In Dio Volontà e Potere sono tutt’uno. In Dio si realizza tutto ciò che è Voluto. Dio è Amorevole Volontà e Potere, intelligenza che muove tutto l’Universo. La beatitudine è l’esperienza dell’appartenenza al moto amorevole, armonioso ed eterno dell’Amorevole Volontà Divina.

References

Reading The Divine Comedy from a Psychosynthesis Perspective —
Catherine Ann Lombard and Kees den Biesen

The Symbolism of the Divine Comedy by Sergio Guarino

Quando andare all’inferno non fa paura di  Laura Maninchedda